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Verga - Economia e problemi dell’Italia unita e inizio dello sviluppo capitalistico - Money and Banking - Il terziario - Il goveSOMMARIO
9. Il governo 14 ________________________________________________________________
PROFILO BIO-BIBLIOGRAFICO DELL’AUTORE
Compiuti gli studi primari e medi, frequenta la scuola del fantasioso Antonio Abate, mediocre letterato, ma di ingegno vulcanico. In questi dieci anni alla scuola dell’Abate, Verga legge Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Manzoni. Per un epidemia di colera, i Verga si trasferirono a Tebidi e in questa circostanza il Verga incontra una fanciulla, “ una bellezza pallida e bruna” che trasfigurata nel ricordo, suggerirà tratti e vicende della protagonista del romanzo “ storia di una capinera”. Nel 1857 porta a compimendo il suo primo romanzo “amore e patria” ambientato all’epoca della rivoluzione americana. Il romanzo rimase ed è tuttora inedito. Il Verga adolescente non è ancora sicuro della grammatica e dell’ortografia, eppure riesce già ad immaginare e a tessere una vastissima tela sul tema della guerra rivoluzionaria degli Americani del nord contro la Gran Bretagna. Nel 1858 si iscrive alla facoltà di legge all’università di Catania, senza dimostrare tuttavia propensione alcuna per gli studi giuridici, abbandonati nel 1861. Nel 1860 si arruola nella guardia nazionale istituita dopo lo sbarco di Garibaldi. Ottiene poi l’esonero militare. Nel 1861 inizia la pubblicazione in quattro tomi del romanzo “ i carbonari della montagna”, portata a termine l’anno seguente, nella quale descrive la lotta del popolo calabrese, sotto la guida carbonara, contro gli invasori francesi di Murat. Nel 1863 pubblica “ sulle lagune” ambientato nella Venezia risorgimentale sottoposta al gioco Austriaco. In questi suoi primi tre romanzi non importa tanto sottolineare l’impaccio e l’immaturità espressiva, quanto la prima apparizione di un problema di tecnica narrativa che interesserà lo scrittore per tutta la vita: quello dal punto di vista in cui porsi per narrare la vicenda. Nel 1865 si reca a Firenze e da questo momento la città diverrà meta frequente dei suoi viaggi. Nel 1866 compare il romanzo “una peccatrice” in cui è adombrata un’avventura catanese. Nel 1869 lascia Catania per trasferirsi a Firenze dove frequenta i migliori salotti della città. Inizia la fraterna amicizia con Luigi Capuana e scrive “ storia si una capinera” ed “ Eva”. Nel 1872 si trasferisce a Milano, dove si stabilirà per circa un ventennio, interrompendo il soggiorno solo con periodici viaggi in Sicilia. Nel 1873 compare a Milano “Eva” romanzo che suscita scandalo nei critici di parte moderata avversi al naturalismo. Nel 1875 compare “Eros” e “Tigre”. Solo con Eros Verga giungerà ad una narrazione oggettiva e distaccata, tutta in terza persona, mentre successivamente con l’adesione al verismo, farà ricorso all’impersonalità. Dopo un silenzio di tre anni nel 1878 esce un racconto che si discosta fortemente dalla materia e dal linguaggio della sua precedente narrativa, le passioni raffinate e artificiose, il soggettivismo esasperato, la lirica melodrammatica, si tratta di “ rosso malpelo” la storia di un garzone di miniera che vive in un ambiente duro, disumano, narrata con un linguaggio nudo e scabro, che riproduce il modo di raccontare di una narrazione popolare. È la prima opera della nuova maniera verista, ispirata ad una rigorosa impersonalità. Il Verga, in effetti si proponeva fermamente di dirigere il “vero”, rifiutando ogni etichetta di scuola. Diceva in una lettera di se stesso: “ ho cercato sempre di essere vero, senza essere né realista né idealista, né romantico, né altro”. In verga dovette suscitare molta impressione “l’assomoir” (bettola) 1877 di Zola, per la sua ricostruzione di ambienti e psicologie popolari, che davano l’impressione diretta della realtà vissuta, e soprattutto, per il suo linguaggio, che riproduceva il gergo dei sobborghi operai parigini. Nel 1866 con dedica a Zola esce “Giacinta” , ma fallisce la sua ambizione di proporsi come modello di una nuova narrativa di impianto naturalista, restando tutto sommato, prigioniero della tradizione del romanzo psicologico romantico. Verga aveva in animo, con le sue opere e con il suo disegno di un ciclo di romanzi, di tracciare un quadro sociale, di delineare la fisionomia della vita italiana moderna, passando in rassegna tutte le classi, da ceti popolari alla borghesia di provincia, all’aristocrazia. Criterio unificante è il principio della per la sopravvivenza, anche se Verga non intende soffermarsi sui vincitori di questa guerra universale, ma sceglie come oggetto della sua narrazione i “Vinti”, che piegano il capo sotto il piede dei potenti. Il primo romanzo del ciclo è “ I Malavoglia” (1881), narrano la storia di una famiglia di pescatori che dopo una lotta contro le difficoltà della vita si disgrega tristemente. Pieno di significato è il contrasto tra il vecchio capofamiglia “padron Ntoni”, che lotta strenuamente e con tutte le sue forze per contrastare le avversità della vita che vogliono la disgregazione della famiglia, ed il giovane nipote Ntoni, che ignora i nobili principi del vecchio e preso dal desiderio dei facili guadagni, conosce il disonore del carcere dopo essersi allontanato dagli affetti familiari ed alla fine deve abbandonare il paese. È la storia di una famiglia ,vissuta fino ad allora relativamente felice, che le difficoltà economiche generate dalla situazione dell’Italia post-unitaria spingono a compiere una speculazione commerciale disastrosa, che segna l’inizio di una serie interminabile di sventure. La casa e la barca devono essere cedute, alcuni componenti della famiglia si disperdono; però al termine della vicenda i più giovani riescono a ricostruire il nucleo famigliare nella casa dei padri. Nel romanzo Verga analizza i contraccolpi prodotti dal progresso moderno nei primi anni post-unitari in un arcaica comunità di pescatori, sino allora vissuta ai margini della storia. A distanza di un anno da “ i malavoglia”, Verga pubblica un altro romanzo, “il marito di Elena” (1882), di ambiente cittadino e piccolo borghese. Nel 1889 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti: “mastro don Gesualdo” storia della ascesa sociale di un muratore che, con la sua intelligenza e la sua energia instancabile accumula enormi ricchezze, ma va incontro ad un tragico fallimento nella sfera degli affetti familiari. Il terzo del ciclo “la duchessa de Leyra” non sarà mai portato a compimento. Così gli ultimi due romanzi del progetto iniziale non saranno neppure affrontati “l’onorevole Scipioni” e “ l’uomo di lusso”. Le ragioni di questi interruzioni non sono facili da definire, dovettero combinarsi sia l’inaridimento dell’ispirazione e la stanchezza e il logoramento dei moduli veristi. Il 30 ottobre del 1920 lo scrittore è nominato da Giolitti :Senatore del Regno. Muore il 27 Gennaio del 1922 colpito da una trombosi celebrale.
TECNICA NARRATIVA E IDEOLOGIA VERGHIANA
Il Verga applica coerentemente i principi della sua poetica nelle opere veriste composte dal 1878 in poi; e ciò da origine ad una tecnica narrativa profondamente originale e innovatrice, che si distacca sia dalla tradizione, sia dalle contemporanee esperienze italiane straniere. Nelle sue opere effettivamente l’autore si eclissa, si cala nella pelle dei personaggi, vede le cose con i loro occhi e le esprime con le loro parole. Il punto di vista dello scrittore non si avverte mai, nelle opere del Verga: la voce che racconta si colloca all’interno del mondo rappresentato , è allo stesso livello dei personaggi. Non è propriamente qualche specifico personaggio a raccontare; ma il narratore si mimetizza nei personaggi stessi, adotta il oro modo di pensare e di sentire, si riferisce agli stessi criteri interpretativi, agli stessi principi morali, usa il loro stesso modo di esprimersi. È come se a raccontare fosse uno di loro, che però non compare direttamente nella vicenda e resta anonimo; quindi i fatti non passano attraverso la lente dello scrittore: siccome chi narra è interno al piano della rappresentazione, il lettore ha l’impressione di trovarsi faccia a faccia con il fatto nudo e crudo. Tutto ciò si impone con grande evidenza agli occhi del lettore perché il Verga , nei Malavoglia e nelle novelle, rappresenta ambienti popolari e rurali e mette in scena personaggi incolti e primitivi, contadini, pescatori, minatori, la cui visione e il cui linguaggio sono ben diversi da quelli dello scrittore borghese. Anche il linguaggio non è quello che potrebbe essere dello scrittore, ma un linguaggio spoglio e povero, punteggiato di modi di dire, paragoni, proverbi, imprecazioni, popolari, dalla sintassi elementare e talora scorretta, in cui traspare chiaramente la struttura dialettale (anche se Verga non usa mai direttamente il dialetto, ma sempre e solo il lessico italiano; tanto che se deve citare un termine dialettale lo isola mediante il corsivo). Al fondo della visione del Verga sta un giudizio radicalmente negativo sulla società umana. Lo scrittore ha sotto gli occhi la realtà italiana degli anni 1870 1880, che vede gli inizi di uno sviluppo dell’economia in senso capitalistico e il primo avvio, in alcune zone d’Italia, ad un processo di industrializzazione che preannuncia la trasformazione di un paese agricolo e arretrato in un paese moderno. Verga, dal suo punto di vista di proletario agrario del sud, legato ad una realtà arcaica ed immobile, che conosce bene le condizioni delle masse contadine, respinge polemicamente questa realtà. Il progresso gli appare si grandioso ed epico, ma egli vede anche chiaramente i suoi inevitabili risvolti negativi, lo sfrenarsi delle ambizioni e degli interessi, la negazione di tutti i valori, il trionfo dell’utile e della forze, lo scatenarsi degli antagonismi tra classi sociali e individui la durezza dello sfruttamento e dell’oppressione sui più indifesi. Questo quadro desolato del vivere sociale per Verga, però, non è limitato al mondo presente, nella sua visione il meccanismo delle sopraffazioni e delle sofferenze è una legge di natura, che governa qualsiasi società, in ogni tempo e in ogni luogo. Nel Verga vi è la consapevolezza di un destino doloroso e della sua invincibilità, vi è la coscienza assoluta dell’impossibilità di migliorare l’avvenire dell’uomo. Contrariamente a quella fede nel progresso dell’uomo che vediamo illuminare gli scritti degli autori di questi periodi, nel Verga vi è la radicate convinzione che il dolore è la dura legge della vita al cui rigore nessuno può sfuggire. Il verga sente una pena infinita per la sofferenza materiale e morale dei suoi personaggi, per i quali non riesce nemmeno a suggerire un rimedio. Il suo dolore non giunge alla disperazione perché il male non può distruggere la dignità dell’uomo, anzi la fortifica e la ingigantisce, impegnando l’uomo stesso in una lotta da cui egli ritrae fierezza e nobiltà. Contrariamente al naturalismo francese che considerando l’uomo un prodotto dell’ereditarietà e dll’ambiente, nega il libero arbitrio, il verismo non arriva a tanto e riconosce all’uomo, la sua libertà di pensare e di agire, anche se essa è schiacciata dalle forze avverse della natura e dell’egoismo brutale dell’uomo stesso.
NATURALISMO FRANCESE E POETICADEL VERISMO ITALIANO
Gli scrittori veristi italiani, nell’elaborare le loro teorie letterarie e nello scrivere le loro opere, prendono le mosse , dal naturalismo che si afferma in Francia nel 1870. Per capire il fenomeno italiano occorre dunque esaminare quello francese. Il retroterra culturale e filosofico del Naturalismo è il Positivismo, un movimento di pensiero che si diffonde a partire dalla metà dell’800 ed è espressione ideologico della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente sviluppo della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche. Il positivismo è caratterizzato dal rifiuto di ogni visione di tipo religioso e idealistico e dalla convinzione che tutto il reale sia un gioco di forze materiali, fisiche, chimiche, biologiche, regolato dalle ferree leggi meccaniche; il positivista crede solo nei fatti positivi dimostrabili scientificamente e sperimentalmente, e vede nella scienza moderna l’unico strumento capace di spiegare la realtà e di dominarla, asservendola ai bisogni dell’uomo. Di qui la fede nel progresso. Il modello di scrittore – scienziato di cui aveva preso le mosse Verga, era Balzac, la cui concezione del mondo era ispirata a un rigoroso determinismo materialistico, affermando che i fenomeni spirituali sono determinati dall’ambiente fisico in cui l’uomo vive “ il vizio e la virtù sono dei prodotti come il vetriolo e lo zucchero” scriveva Balzac nel 1864. Altro modello della letterario della scuola naturalistica fu Gustave Flaubert, l’ autore di “madame bovary”. Il quale diceva: “L’artista deve essere nella sua opera come DIO nella creazione, invisibile e onnipotente, si che lo si senta ovunque, ma non lo si veda mai”. Un altro scrittore che diede la sistemazione più compiuta delle opere naturalistiche e riassunse nella sua opera il movimento (naturalista), ponendosi come un vero e proprio capo scuola come fu Emile Zola (1840 – 1903). Zola sostiene che il metodo sperimentale delle scienze applicato in un primo tempo ai corpi inanimati (chimica, fisica), poi ai corpi viventi (fisiologia), deve essere ora applicato anche alla sfera spirituale, agli atti intellettuali e passionali dell’uomo. L’immagine di Zola che si diffuse in Italia fu quella del romanziere scienziato e impavidamente realista, nonché dello scrittore sociale, in lotta contro le piaghe della società in nome del progresso e dell’umanità. Una teoria coerente ed un nuovo linguaggio furono elaborati da due intellettuali conservatori, due galantuomini meridionali, che operavano nell’ambiente milanese, assorbivano le stesse sollecitazioni del naturalismo francese e condividevano l’ammirazione per Zola, sia pure da diverse prospettive: Verga e Capuana. Il positivismo ed il naturalismo esercitano una vera e radicale influenza nel romanzo contemporaneo, ma soltando nella forma e tale influenza si traduce nella perfetta impersonalità di questa opera d’arte. L’impersonalità, come fatto formale, è il motivo centrale della poetica del verismo italiano, in luogo dello sperimentalismo scientifico del naturalismo francese, secondo Verga la rappresentazione artistica deve conferire al racconto l’impronta di cosa realmente avvenuta e per far questo deve riportare documenti umani, ma non basta che ciò che viene raccontato sia reale e documentato, deve essere anche raccontato in modo da porre il lettore faccia a faccia col fatto nudo e schietto, in modo che non abbia l'impressione di vederlo attraverso la lente dello scrittore. Lo scrittore per questo deve eclissarsi, cioè non deve comparire nel narrare con le sue reazioni soggettive. L’autore deve mettersi nella pelle dei suoi personaggi, vedere le cose coi loro occhi ed esprimerle colle loro parole. Il lettore avrà l’impressione non di sentire un racconto di fatti, ma di assistere a fatti che si svolgono sotto i suoi occhi. La teoria dell’impersonalità è solo la definizione di un procedimento tecnico, di un modo di dar forma all’opera, di conseguire determinati effetti artistici, cioè di far si che non si avverta nel narrato la presenza dello scrittore.
ECONOMIA E PROBLEMI DELL’ITALIA UNITA E INIZIO DELLO SVILUPPO CAPITALISTISCO
Si è accennato alla sostanziale arretratezza dell’economia italiana all’indomani dell’unificazione. L’Italia era fondamentalmente un paese agricolo: sono nelle regioni padane , tuttavia si era avuto in questo settore un processo di modernizzazione, avviato dai proprietari delle terre, con un sviluppo ed una produzione più consistenti. Nel resto d’Italia la situazione si presentava molto meno progredita; nel meridione, in particolare , continuava a dominare il sistema dei latifondi, vastissime estensioni di terre sulle quali lavoravano, per compensi estremamente bassi, molte migliaia di contadini, il rendimento di queste terre era minimo, soprattutto per lo scarso interesse da parte dei proprietari ad introdurre nuove tecniche o ad investire nuovi capitali per migliorare la produzione. L’alimentazione e le condizioni igieniche dei contadini erano dovunque molto precarie ed ampia era la diffusione di malattie come la pellagra e la malaria. Lo squilibrio esistente fra Nord e Sud era confermato anche dalla situazione delle industrie. In Piemonte, Lombardia, veneto erano da tempo avviate manifatture tessili di una certa importanza e l’industria pesante era quasi inesistente. Se nel centro si era sviluppata attorno a Prato una discreta attività tessile, accompagnata, nell’isola d’Elba, dell’estrazione del ferro, nel sud il settore industriale era pressoché assente. I primi governi, guidati dalla destra, dovettero cimentarsi con il problema dell’organizzazione amministrativa dell’Italia. Fu deciso di trasferire al nuovo stato unitario gli ordinamenti e la struttura amministrativa del regno di Sardegna. Lo statuto Albertino era diventato la costituzione dell’Italia e la legge elettorale piemontese era stata estesa a tutto il paese. Venne unificato il codice civile e venne inoltre istituito il servizio militare obbligatorio e che suscitò un forte malcontento perché sottraeva alle famiglie contadine forze più giovani indispensabili al lavoro, la durata era di 5 anni. Nel tentativo di sanare il bilancio dello stato fu inoltre deciso un aumento delle tasse, la più celebre di questa imposta e la più odiata, fu la tassa sul macinato che venne introdotta da Quintinio Sella nel 1868. Si verificarono disordini e insurrezioni, repressi con le armi delle forze dell’ordine. Nel 1876 venne raggiunto il pareggio del bilancio. I problemi del sottosviluppo nelle regioni del mezzogiorno , definito nel suo complesso “questione Meridionale” suscitò un crescente interessamento fra i politici e gli studiosi che cercarono di analizzare le cause di questo fenomeno e di proporre rimedi. Fra i primi e più prestigiosi meridionalisti va citato Pasquale Villari, che riteneva un dovere, per la nuova classe dirigente, il tentativo di sottrarre alla miseria e all’arretratezza le regioni del sud, anche per evitare il rischio di rivolte a sfondo sociale. La questione della terra costituiva un aspetto fondamentale del complesso problema dell’arretratezza del mezzogiorno, un problema che aveva ragioni storiche precise, precedenti all’unificazione del paese: la struttura sociale ancora tipo feudale, il predominio della grande libertà latifondista, il dominio plurisecolare del baronaggio, geloso detentore di tutti i privilegi e le miseria estrema dei contadini. D’altro canto, con la nascita del nuovo regno d’Italia, la situazione non conobbe sostanziali miglioramenti. Le terre rimasero nelle mani dei signori e i braccianti non migliorarono le loro povere condizioni. La gente del sud deve ancora sopportare le ingiustizie e lo strapotere dei più forti, ma comincia a prendere coscienza della propria funzione sociale dando vita alle prime forme di contestazione sociali. Il brigantaggio non è altro che protesta selvaggia e brutale contro antiche e secolari ingiustizie, delusioni che seguirono alle speranze accese dalla rivoluzione Garibaldina in conseguenza dei pesanti carichi fiscali imposti dal nuovo governo. Il brigantaggio non è soltanto una reazione alla repressione statale contro i gravami imposti dallo stato unitario, ma anche violenza armata per vendicare le sopraffazioni e i tradimenti dei galantuomini. Indubbiamente, tra i briganti non pochi furono quelli che la miseria, l’ignoranza, la mancanza di lavoro certo e anche gli istinti perversi li spinsero a malfare e a porsi fuori dalla legge comunemente accettata per soddisfare ciechi impulsi di vendetti e di rapina. Molti altri furono posti dalle circostanze e dalla società in cui vissero, dinanzi all’alternativa di vivere in ginocchio o di morire in piedi. Il fenomeno del brigantaggio diviene il problema principale del meridione e del regno, i diversi governi che si susseguono fanno di tutto per abbatterlo, vennero perfino redatte delle leggi speciali. Il fatto più significativo è che nel 1865 vennero impiegati 1200.000 uomini contro il brigantaggio. L’operazione militare cancellò ogni residua traccia dei briganti, ma non risolse il problema agrario e sociale del mezzogiorno, al contrario servì a confermare e consolidare l’egemonia economica e politica della borghesia agraria e la soggezione dei contadini. L’annessione del sud al regno d’Italia non è da considerarsi perciò una grande impresa se inquadrata sotto certi aspetti, infatti lo storiografo meridionalista NITTI dimostrò con i fatti che l’annessione al regno d’Italia non risolvette i problemi del meridione, anzi li aggravò, poiché i soldi del sud erano sempre stati usati a favore del nord. Anche Antonio Gramsci mette in primo piano il ruolo dei contadini meridionali osservando come le scelte operate dalla classe dirigente siano state le componenti essenziali che hanno dato spinta di sviluppo economico al Nord, fossilizzando sempre di più il sud. Anche dopo la caduta del fascismo, la giovane repubblica italiana si trova di fronte ad un importantissimo problema ancora irrisolto: lo sviluppo del mezzogiorno e la questione contadina. Gli interessi per i problemi e la gente del mezzogiorno sono sempre vivi, lo stanno a dimostrare le inchieste parlamentari o i saggi di importanti personaggi del mondo culturale e politico e non solo anche opere di carattere letterario che volsero il loro interesse al mondo dei poveri e dei diseredati del sud. Nel primo periodo del nuovo regno unitario era stata impostata l’unificazione politica e amministrativa del paese, raggiungendo il alcuni importanti risultati fra i quali il pareggio del bilancio dello stato. Le elezioni del1876 videro la vittoria della sinistra che si presentava con un programma basato su un piano di riforme sociali. Con DEPRETIS venne abolita l’impopolare tassa sul macinato; fu istituita una riforma scolastica che prendeva 2 anni di scuola elementare gratuiti e obbligatori e fu approvata la riforma elettorale che portò ad un sensibile aumento del numero dei votanti. Nel primo periodo dei governi della sinistra si avviò anche in Italia un processo di industrializzazione che partì in evidente ritardo dal resto d’Europa. Lo sviluppo industriale fu agevolato anche dall’atteggiamento protezionista assunto dal governo; l’industria locale veniva protetta dall’applicazione dei dazi sulle merci provenienti dall’estero, rendendo più conveniente l’acquisto dei prodotti nazionali- nel settore dell’industria siderurgica, l’intervento dello stato fu massiccio: esemplare fu il caso delle grandi acciaierie di Terni fondate nel 1884. Sempre lo stato venne in aiuto ai cantieri navali. Negli anni 80 assistiamo alla crisi agraria con l’arrivo del grano americano sui mercati europei con un basso costo determinando la scomparsa rapida della piccola proprietà contadina. Il rapporto tra il nord ed il sud si precisa sempre più come un rapporto di tipo coloniale fondato sullo scambio ineguale. L’Italia insomma era effettivamente agli inizi del suo sviluppo capitalistico moderno, sia pure con ritardi e contraddizioni. IL BILANCIO DELLO STATO
Le entrate dello stato si distinguono in ordinarie e straordinarie. Le ordinarie sono quelle che lo stato ha regolarmente ogni anno. Quelle straordinarie servono solo in casi di guerre o catastrofi naturali. Le più importanti entrate ordinarie sono le imposte e le tasse che lo stato preleva dai cittadini. Straordinarie sono del resto anche i BOT. Se i cittadini non acquistano questi titoli può procurarsi denaro stampando carta moneta. Anche questa è un entrata straordinaria, ma che può provocare conseguenze negative sul sistema economico, come l’inflazione, quindi possiamo dedurre che le entrate ordinarie sono per la maggior parte le imposte, mentre quelle straordinarie essenzialmente il debito pubblico ed l’emissione di carta moneta. Il bilancio può essere in pareggio, in avanzo (surplus), o in disavanzo (deficit). Il bilancio in pareggio si ha, come abbiamo già accennato, quando le entrate sono uguali alle uscite, in avanzo quando le entrate superano le uscite, in disavanzo quando le uscite superano le entrate. La teoria classica della finanza pubblica sosteneva che lo stato deve mirare al pareggio del bilancio, adottando il sistema che alle uscite ordinarie, come stipendi, pensioni; lo stato deve far fronte con l’entrate ordinarie, come le tasse, mentre alle uscite straordinarie, some le guerre si deve far frante con le entrate straordinarie, cioè con titoli di stato. Altra teoria che lo stato potrebbe adottare è quella della teoria del doppio bilancio. Lo stato effettua sia spese correnti che in conto capitale. Le spese correnti sono quelle necessarie per il funzionamento dello stato, le spese in conto capitale sono quelle di investimento( come ad esempio gli ospedali). In conclusione il bilancio corrente deve essere in pareggio, mentre il bilancio in conto capitale può essere in disavanzo. La teoria del bilancio ciclico prevede invece, un’alternanza, cioè il bilancio potrebbe essere qualche anno in avanzo e qualche anno in disavanzo, in maniera tale che ci potrebbe essere una compensazione. Altra teoria è quella della finanza funzionale che abbandona definitivamente il principio del pareggio del bilancio perché considera il bilancio stesso solo uno strumento per regolare l’attività economica basata sul disavanzo. Tutto questo perché quando l’economia non avanza, le imprese producono e vendono poco, non ci sono investimenti ed ecco che lo stato per far fronte alla crescente disoccupazione deve effettuare investimenti in opere pubbliche per dare lavoro. Lo stato, potrebbe procurarsi denaro con l’aumento delle tasse ciò facendo procura una diminuzione da parte dei consumi da parte dei cittadini, quindi le imprese andrebbero a vendere minore quantità di beni riducendo così, la produzione e per evitare questi effetti deve far fronte con le imposte ma mediante l’emissione di titoli. L’aumento del disavanzo quindi sarebbe un mezzo per aumentare l’attività economica e l’occupazione. Per misurare la crescita del disavanzo si usa rapportarlo alla ricchezza del paese, cioè al reddito nazionale. Una delle cause della crescita del disavanzo in Italia è stato il notevole aumento delle spese dello stato. Il bilancio dello stato, si divide da un punto di vista strutturale in due grandi parti: entrate ed uscite. Queste voci sono ripartite in : titoli – categorie – capitoli. Nel nostro paese, alla gestione del bilancio ,sono preposti 2 Ministeri: il ministero delle finanze, del tesoro e per il bilancio. Il ministero delle finanze predispone i mezzi necessari per procurare allo stato le entrate di cui a bisogno; il ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica: provvede alla riscossione delle entrate, alla erogazione spese, alle emissioni di prestiti; esercita un controllo preventivo sulle entrate e sulle spese e provvede a disciplinare lo sviluppo economico con piani programmati. Questi ministeri presentano al parlamento: entro il 31 marzo: una relazione generale sulla situazione economica del paese relativa all’anno precedente. Entro il 15 maggio: un documento di programmazione economica e finanziaria . Entro il 30 giugno: un bilancio di assestamento dell’esercizio in corso, un rendiconto generale dell’esercizio finanziario precedente. Entro il 31 luglio: il disegno di legge del bilancio annuale, più un bilancio triennale di previsione a legislazione vigente. Entro il 30 settembre: un disegno di legge finanziaria per l’anno successivo, una relazione previsionale e programmatica per l’anno successivo. Il bilancio viene presentato alle 2 camere e viene discusso prima in commissione, cioè un gruppo ristretto di deputati, dopo in assemblea in aula. In ogni camera al termine della discussione si vota il bilancio. Dopo essere stato approvato viene pubblicato sulla gazzetta ufficiale. Se non viene approvato entro il termine dell’anno in attesa si ha l’esercizio provvisorio. L’organo preposto al controllo dell’esecuzione del bilancio nel corso dell’anno è la corte dei conti. Dopo la fine dell’anno viene elaborato il rendiconto generale dell’esercizio trascorso, e prede il nome di: bilancio consuntivo e rendiconto del patrimonio dello stato. Come abbiamo già detto le banche hanno molta importanza per lo stato, infatti è la banca centrale che emette soldi sul mercato per cercare di coprire i debiti. Le banche……
MONEY AND BANKING
General Banking services are the services what bank use to attract customers .
THE BANKING SYSTEMS
Is a vital structure of the nation’s economy.
I FIDI BANCARI
Il fido costituisce l’ammontare massimo di credito che una banca si impegna ad erogare al soggetto che ne ha fatto richiesta. Esso rappresenta quindi la misura massima del rischio che la banca è disposta ad assumere nei confronti del suo cliente. |