Canova - Amore e Psiche
A Napoli, nel 1787, dove soggiornò per riposarsi dopo le fatiche provocategli dal monumento a Clemente XIV, Canova incontrò il colonnello John Campbell (poi Lord Cawdor) che gli commissionò il gruppo di «Amore e Psiche che si abbracciano». L’opera, una delle più importanti dell’artista, è esemplare per comprendere la sua interpretazione della classicità e per gli effetti di straordinaria bellezza ottenuti nel marmo.
Raffigura, secondo le parole dello stesso Canova «Amore e Psiche che si abbracciano: momento di azione cavato dalla favola di Apuleio». Il bacio d’amore rianima Psiche, svenuta per avere aperto, contro il divieto di Venere, il vaso che Proserpina le aveva consegnato nell’Ade.
Per la composizione Canova si sarebbe ispirato a un dipinto di Ercolano («Fauno e Baccante»); forse egli venne anche suggestionato da dipinti veneziani settecenteschi di soggetto erotico-mitologico. L’intreccio dei corpi, estremamente complesso, appare quasi prodigioso: il gruppo, per essere meglio ammirato, veniva fatto ruotare davanti agli osservatori poiché si riteneva non avesse un punto di vista privilegiato.
Nell’immagine d’insieme si coglie l’impianto geometrico nella contrapposizione dei copri: quello di Psiche è sdraiato, le braccia alzate, quello di Amore piegato, con una gamba tesa. Le due teste accostate sono il centro di due direttrici ad X che dominano la composizione: una linea diagonale, a destra, va dalla punta dell’ala a quella del piede; un’altra, a sinistra, parte sempre dall’ala, attraversa il busto di Psiche e si conclude nella piega del panneggio che ricopre il basamento. Lungo queste direttrici si dispongono le braccia della fanciulla e del giovane, l’inclinazione della testa di Amore.
Consapevole dell’alto risultato dell’opera, ammiratissima dai contemporanei, Canova faticò a distaccarsene e la inviò al committente qualche tempo dopo averla terminata.
Il lavoro venne eseguito con una particolare tecnica che lo scultore adoperò durante tutto il corso della sua carriera: egli faceva precedere la figura in marmo da un modello in gesso a grandezza naturale. L’artista, cioè, dopo i disegni preparatori, i bozzetti, modellava in creta e formava in gesso l’immagine. Il calco, con un complesso sistema di «punti», veniva tradotto in marmo dagli assistenti che fermavano il loro intervento solo quando pochi strati di materia separavano la figura dallo stadio definitivo. Iniziava così la fase finale e più delicata che vedeva l’artista, solo, davanti all’opera; gli ultimi strati venivano tolti lentamente, con un lavoro di mesi: l’artista definiva le superfici, incideva gli incavi, studiava i passaggi chiaroscurali, attendeva alla levigatura.
Una testimonianza del tempo descrive lo studio di Canova come un officina laboriosa in cui, nella prima sala, uomini e donne eleganti ammiravano, su una piattaforma girevole, l’ultimo capolavoro dell’artista e nelle altre seguivano il lavoro dei numerosi collaboratori. Ma il maestro si mostrava raramente: chiuso in una stanza con la statua del momento, dalla quale non si staccava per lunghe ore, incurante dei visitatori che accorrevano da ogni parte d’Europa, dava forma definitiva alla sua opera, ricercando l’armonia degli antichi.
Ma sarebbe sbagliato affermare che Canova sia stato un imitatore della classicità: egli era innamorato delle opere d’arte greche e romane, ma perseguiva la «sua» visione d’artista, in cui armonia, eleganza, grazia, finezza, convivono in un particolare equilibrio. La ricerca dello scultore comprendeva l’obiettivo di realizzare nel marmo la morbidezza e il calore della carne viva. «Le opere di Fidia sono vera carne, cioè la bella natura» diceva davanti ai rilievi del Partenone, portati a Londra in quegli anni da Lord Elgin.
Il particolare mostra infatti come il corpo di Psiche sia morbido e tenero: le belle braccia sembrano davvero di carne viva. I gesti sono armoniosi: espressivi soprattutto quelli di Psiche che alza le braccia per accogliere il bacio e di Amore che con la mano le sorregge la testa.